15 dicembre 2011

la distribuzione come un nastro che avvolge


 

Il fulcro del mio progetto è nato dall' utilizzo di piani che si intersecano tra di loro, ognuno con la propria funzione, e soprattutto grazie all'impianto distributivo dato da quattro vani scala che si snodano all'interno dell'isolato determinando corridoi e ponti. Il tutto viene legato insieme come un nastro che avvolge e racchiude la mia idea di progetto. 

Cristina Cassavia

Bozza di Isolato

L'isolato che ho creato ha in sè un mix di distribuzioni ben differenti. Generalmente l'isolato ha una forma a C con la parte concava rivolta a Sud.
Ho scelto di collocare i parcheggi al piano terra nel lato Nord dell'edificio (non potendoli interrare). Ho deciso di dividere la zona residenziale (dell'edificio centrale e quello a Est) da quella adibita ai parcheggi con un piano "verde". Questi due edifici concentrano la maggior parte delle residenze e hanno spazi comuni quali terrazze praticabili.
L'edificio a Ovest concentra l'SLP adibito al commercio: I negozi del piano terra sono collegati tramite un portico che richiama al passato e al primo piano è presente un sontuoso ristorante.
Tutti gli edifici godono di un facile accesso a qualsiasi lato dell'isolato.

Isolato urbano










I volumi si divincolano gli uni dagli altri e scelgono una propria direzione.

Alice Giani

14 dicembre 2011

Tra modelli e novità

Quando un'idea ci prende non ci lascia più vivere: è quello che mi è successo quando ho deciso di posizionare un grande ascensore vetrato nel bel mezzo del lotto. Tutto ruota intorno a lui e tutto si conforma alla sua imponente leggerezza. Tutto dipende dalla distribuzione verticale, fulcro del progetto. 

Caterina Garbaccio

esercitazione impossibile?













Nadia Achenza











Giulia Pittorru


Quartiere ad Incastro.




Riconoscere, distribuire e ottimizzare
le richieste in un complesso residenziale
per far si che l'utenza viva, si muova e percepisca lo spazio
in modo positivo.

Non si deve costruire intorno allo spazio,
ma crearlo e utilizzarlo per plasmare il volume.

Anche con geometrie semplici.


Alice Gallareto.

6 dicembre 2011

Prendere posizione. Architettura e distribuzione


Di seguito pubblichiamo un testo del professor Olmo, ora convalescente, che raccoglie alcune riflessioni fondamentali sul tema del laboratorio che state affrontando e sul significato di questa esperienza. 
L'invito è di provare a misurarvi su questo terreno per creare un confronto non appena ci rivedremo (15/12).

Buona lettura e buon lavoro

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Che cosa distingue oggi un’architettura da una stratificazione di tecniche, sempre più autoreferenziali? La risposta è tutt’altro che semplice. Anche l’architettura conosce la frammentazione dei linguaggi e delle pratiche che interessano la medicina o l’ingegneria. Un processo quasi ineludibile, sia culturalmente sia per i mercati professionali che genera e alimenta; un processo che produce nuove tecnocrazie (e oligarchie) persino dentro le Facoltà universitarie. Sotto il vessillo, un po’ lacero, della complessità si stanno generando carriere accademiche, professioni, nuove attività imprenditoriali che segnano con crescente durezza i propri confini. L’architettura appare sempre più un puzzle, se non proprio impazzito, certo alimentato da nuove retoriche e nuovi «doveri sociali».
L’architettura deve essere...: gli aggettivi che l’accompagnano segnano confini, individuano interessi. «Sostenibile», «intelligente», «virtuale», «sociale»: ognuna di queste possibili definizioni centra l’architettura su valori «esterni», importanti ma non fondativi e, soprattutto, li assolutizza. Sarebbe un paradosso, insieme divertente e didascalico, mettere in fila i «dover essere» che oggi incarnerebbero quello che nella seconda metà di Settecento si comincia a indicare come caractère di un edificio, pubblico o privato.
Il rapporto che si è inoltre istituito tra simbolo e popolo in questi ultimi vent’anni, tra l’attribuzione a una forma di un valore che sia leggibile da un fruitore che è individuo o massa, rende anche il piano dei linguaggi architettonici sempre più scivoloso. Chi attribuisce valore a questi linguaggi? Il processo che li rende insieme riconoscibili ed esclusivi ha oggi a che fare più con l’universo della comunicazione che con la kunstwollen del singolo o di una comunità scientifica o sociale. Certo non è sempre così, sarebbe sciocco banalizzare. Resta l’estrema difficoltà a distinguere tra bizzarria ed eccezione, tra la ricerca di un brand aziendale e l’espressione di valori collettivi.
Dei tanti attrezzi depositati in ordine sui piani dei settecenteschi cabinets, resta in mano all’architetto il più difficile, e certamente oggi il meno frequentato: la distribuzione. Di sicuro non ha favorito una riflessione tanto complessa il più lungo ciclo edilizio mai registrato, né la trasformazione dell’architettura nel perno di una finanziarizzazione dell’economia, i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti. L’autentica orgia quantitativa (e non solo di capannoni industriali) fa apparire quasi patetici i dibattiti degli anni venti o sessanta sugli standard costruttivi e urbanistici, l’unica vera risposta che si è tentata di fronte alla crescita quantitativa del costruire. E parlare di distribuzione di fronte a miliardi di metri cubi costruiti ricorda l’incipit di Alice nel paese delle meraviglie, anche se forse è proprio ripercorrendo quel viaggio che si possono scoprire, dietro i volti anonimi delle società d’ingegneria o immobiliari, i nostri stregatti, cappellai matti, leprotti bisestili…
Se il rapporto tra un bisogno - una parola che oggi suscita quasi tenerezza - e un’organizzazione spaziale è scontato e può essere interamente risolto da una norma (tecnica, giuridica o procedurale poco importa), che necessità c’è dell’architettura? Né regge l’osservazione che si vuole rilanciare una visione elitaria e assai limitata dell’architettura. Nel 1928 Alexander Klein pubblica il suo saggio - un tempo famoso, oggi quasi dimenticato – sull’invenzione distributiva. Potrebbe essere un ripartire da quella ricerca e da quei 36 mq., cui non solo Klein si dedicò.
Come oggi la sociologia più attenta sta tornando a riflettere, a cercar dati, a interrogarsi sui ceti medi, così l’architettura dovrebbe tornare a riflettere sui nessi tra spazio e società, in una società che oscilla tra consumi di massa e riscoperta della qualità, persino nel mercato immobiliare, tra tecnocrazie (e oligarchie) e ideologie, forse in parte regressive, ma che riguardano problemi centrali per la stessa idea di architettura, come  la durata, la qualità del vivere civile, la conservazione delle risorse come elemento di una responsabilità generazionale irrinunciabile.
Distribuire è l’esercizio forse più difficile, lo sa chi amministra la giustizia e il diritto. Ma è anche il fondamento di ogni società che si vuole democratica. Anche per questo motivo riprendere questa discussione appare ancor più importante e urgente.
Distribuire sappiamo davvero cosa significa e implica? La risposta di tanti potrebbe essere quasi irritata. Distribuire? Percorsi, flussi, funzioni, cos’altro? E quasi in automatico, come in un racconto di Karl Krause, ecco apparire scale, corridoi, ballatoi….sino alle rotonde autostradali, che, forse non a caso, sono per altro soggette ad un opera di camouflage che riscopre un’arte antica. Sono simboli, non funzioni, poffarbacco, avrebbe sussurrato Don Abbondio, quasi mangiandosi le parole.
Così distribuzione ricade nell’ordinata serie di scatole, che il bravo architetto conserva nel cassetto dei suoi attrezzi, insieme ad altri e più moderni strumenti: la scatola delle tecniche, ormai strabordante, quella delle citazioni formali, ampliata a dismisura dal possibile ricorso alle tante banche dati, quella delle penne informatiche, capaci di manipolare le forme, facendo apparire il più torbido espressionismo un esercizio da scuola materna, quella infine dei programmi, estesa a dismisura, e protetta, non tanto da bevetti, quanto dall’occhio indiscreto di un novello dott. Settembrini.
Confinata nel suo ordinato spazio richiuso, la distribuzione appare, come ogni altra scatola, un sapere senza interrogativi, uno strumento davvero pronto ad un uso appena discreto. Perché disturbare i troppi pensieri che avevano inquietato tanti architetti, quando, ad esempio, una funzione, dormire, mangiare, accogliere, studiare, d’improvviso era parsa non solo senza…misure, ma anche con risposte ben differenti ad ognuna di quelle possibili definizioni, al loro poter corrispondere o meno ad uno spazio, al ben diverso ruolo privato e pubblico che potevano giocare nella stessa società, ma in ceti diversi. Oibo’, questa volta sembra mastro Geppetto, ma questa funzione parla...Aimé sì e sembra davvero la creatura del falegname di Collodi, indisciplinata, curiosa, mobile e dispettosa. La distribuzione si presenta insieme come una misura e un racconto che richiedono quello che Brecht chiedeva al sapere: per conoscere bisogna prendere posizione.
La distribuzione appare allora uscire dalla sua scatoletta e prendere la forma del genio della lampada, nel novecentottoesimo racconto delle mille e una notte. Può esaudire i desideri dell’incauto architetto che lo ha risvegliato, senza però dimenticare il carattere dispettoso del Genio.
Come dorme un…e qui la lingua si ferma. Sino a trent’anni fa si poteva dire un operaio, un impiegato, magari distinguendo tra un quadro e un impiegato pubblico, un professionista, un rentier, un intellettuale... e un architetto. Oggi questi strumenti si sono sbriciolati nelle mani dell’incauto professionista, mentre il genio se la ride….Dormire e poi quando, in quanti, e la privacy, e l’appoggio del collo, il ruolo che svolge nella vita del singolo… e il rapporto tra sesso, pudicamente allora si chiamava riproduzione, e necessità di essere sempre presente nella nuvola di informazione che ormai si sta facendo beffa dell’individualità su cui si costruisce, sin dal tempo della seconda diaspora ebraica, la radice del nostro essere umani?  E le variabili potrebbero continuare in un gioco quasi pantagruelico, quasi infinito, dove quasi ogni cosa può rientrare in quella funzione. Dormire  - e la sua stanza, il suo letto - era l’otium, era l’abbandono dell’incipit della Recherche, era la noia creatrice del protagonista dell’omonimo romanzo di Moravia.
Distribuire cosa, per favore non farmi irritare., avrebbe un po’ stizzito, suggerito Panglos al suo allievo. Si può distribuire però se si può misurare e tu mi parli di troppe incertezze. Ma che mestiere è mai il tuo?
Solo allora, il povero architetto, si accorge che quella scatola, il suo Pinocchio e il suo Genio, sono assai indigesti e che la rassicurante strada dei flussi e delle funzioni è ormai alle spalle, come lo è la società che su flussi e funzioni, definite persino negli orari, viveva. D’altronde che bisogno c’è di te, se non sai rispondere ai quesiti di Ulisse? E’ pronto, e non c’è bisogno di scomodare Asimov, un altro programma, che compone e ricompone, offrendo continue variazioni Goldberg, al proprio affascinato cliente.
Peccato che una distribuzione fissi un ordine, si traduca in una gerarchia, rimanga, anche quando, canticchiando Pinocchio e il genio, se ne sono andati. La cultura architettonica dell’età della meccanizzazione aveva forgiato una categoria magica, flessibilità, per rendere meno…inutile l’applicazione di tipi e standard. A Ulm come a Boston cervelli finissimi elaborarono varianti improbabili, come la distribuzione che a voi è chiesta, per sottrarsi ad un protocollo sempre più coercitivo. Oggi che i protocolli sembrano non esistere, con un’ironia della storia quasi Brechtiana, la realtà è che di protocolli si vive e, caso mai,  il problema è sfuggire l’illusione che la flessibilità sia tutto e che il flusso, sia la metafora che può riscattarci da una condizione davvero di relativismo senza regole. Come il programma si spegne, lasciando l’affascinato cliente nell’illusione che ogni scelta sia possibile, così le teorie dei flussi o della liquidità, precipita, come Alice nell’incipit del suo girovagar nel bosco, in un universo dove non si chiamano solo diversamente personaggi e oggetti: dove sono le misure e la prova (del disegno) a dar forma a sogni o far rivivere incubi.
Allora provare a prendere posizione, può ritornar ad essere la chiave per ritornar a distribuire, ricordandosi che la distribuzione molto a che fare con un altro piano, davvero oggi poco praticato nelle teorie degli architetti, la giustizia.

Carlo Olmo

4 dicembre 2011

                     la sfida
il tema é la vita sociale, comunitaria. gli sfidanti tre architetti che, ciascuno a modo proprio, hanno lasciato un segno nella storia dell'architettura. un' inchiesta che analizza tre imponenti esempi di costruire sociale portati a termine ciascuno con metodi, fini e conseguenze diversi, tracciandone un profilo architettonico e ideologico con un occhio attento e critico. da non perdere
   federico pecollo


1 dicembre 2011

Villaggio Matteotti, Unitè d'Habitation, Narkomfin, tre edifici, per tre architetti, ognuno con il proprio approccio al problema del vivere sociale.







Valentina Diana



Tre grandi esempi di macchine distributive:
Narkomfin, Ginzburg;
Unitè d'habitation, Le Corbusier;
Villaggio Matteotti, De Carlo.





esercitazione: isolato urbano


Tre contenitori sociali


Davide Mario Mirai

Villaggio Matteotti, Narkomfin, Unitè d'habitation

villaggio Matteotti : l'insuccesso causato dalla mancanza di una buona base per poter applicare un'ideologia!
l'unitè d'habitation: un modello ideologicamente impossibile!
Narkomfin: quando l'architettura viene trascurata per un'ideologia!

fabio schiavo

3 idee geniali

Tre idee geniali, per altrettanti architetti sbalorditivi.
Personale interpretazione critica su aspetti diversi delle opere.

Andrea Nespola
Unitè D'habitation, Narkomfin e Villaggio Matteotti. Tre architetti, tre pensieri differenti, tre edifici per tre società.
Ferraro Federica
Unitè d'h
abitation: blocco di cemento che preclude ogni attività all'esterno di essa: isolamento 24 ore su 24.

Narkomfin:
similitudine tra il sistema di smaltimento automatizzato di rifiuti e lo smaltimento, o meglio, la preclusione di diritti e privacy degli abitanti che ci vivono all'interno.

Villaggio Matteotti: unità abitativa che mantiene la posizione marginale del vecchio insediamento
semirurale e ciò porta a un accrescimento del senso di provvisorietà con il resto del tessuto urbano.

Tomatis Martina

Narkomfin, Unité d'Habitation, Villaggio Matteotti






Il Narkomfin è utilizzato come manifesto di una nuova ideologia, per creare una nuova società comunista.
L'Unité d'Habitation introduce il concetto servizi comuni funzionali ad ogni singolo individuo.
Il Villaggio Matteotti è impostato su 6 semplici tipologie di alloggi che però combinate tra loro creano un complesso gioco di cubi pieni e vuoti.


Chiara Surra

UNITE' D'HABITATION

UN GIORNO NELLE UNITE..
Ore 07: mi sveglio. 
08: esco di casa, dopo 3’ sono in ascensore. spero di non incontrare la signora del 2°  piano. salgo fino all’ultimo, lascio il bimbo all’asilo.
08:15 stavolta decido di scendere dalle scale di sicurezza, sono da l’altra parte ma preferisco evitare l’affolamento negli ascensori.08:25 arrivo al 7° piano, vado in ufficio. 12:30 pausa pranzo. mi trovo nel corridoio con degli altri colleghi si va a mangiare nel bar affianco. 13:30 rientro. Vorrei trovare una scusa per poter andare via prima ma il titolare sà che abito all’interno delle unitè. 17:00 esco dall’ufficio, ma prima faccio un salto al negozio di alimentari al 8°. 17:20 sono a casa. il bimbo è dalla vicina che gioca. 18:00 dopo un pò di riposo vado a fare un giro sul tetto. Penso “finalmente un pò di aria!” Entro in ascensore e nel 5° piano entra mio marito che torna da casa di un amico. 19:00 dopo un pò di attivita fisica sono di nuovo a casa. 20:00 invito a cena dai cugini. per fortuna abitano solo un piano sotto di noi. 23:30 entro in casa, salgo le scale e metto il bimbo a letto. mio marito rimane giù, in salotto, a guardarsi un film.

Narkomfin, Unité d'Habitation, Villaggio Matteotti

Narkomfin: realmente una dom-kommuna o un insieme di cellule indipendeti?

Unité d'Habitation: un transatlantico sopra ad una palafitta con alla cima un acropoli

Villaggio Matteotti: una "promenade architecturale" per pochi intimi

Distribuzione di tre edifici


Un'utopia architettonica, un transatlantico della solitudine, un quartiere della partecipazione collettiva. Tre esempi che si riprendono, si differenziano e si pongono lo stesso problema.
Yohana Roncalli

sociologia-architettura

L'uomo e tutto ciò che lo riguarda condizionano inevitabilmente ogni suo prodotto rendendolo particolare solo se collocato all'interno del suo contesto di origine.La vita collettiva è affrontata in modi diametralmente differenti a seconda delle influenze sociologiche che ne determinano la necessità.
  Carlotta Platano

Casa-comune, gerarchia di percorsi sopraelevati, micro-città.

"Una vita nuova esige forme nuove"

Ma queste forme non esistono proprio quando l'umanità ne ha bisogno. Il dovere degli architetti è di scoprirle informandosi presso le masse dei loro nuovi bisogni.
L' obiettivo dei tre edifici è appunto un edilizia economica residenziale, che possa soddisfare i bisogni, almeno primari, della collettività.
Non tutti ci riescono, fallimenti, tentativi e progetti non conclusi.

Angela Duzel

(a)sociale

Narkomfin...da casa comune a casa del sonno

Unitè d'Habitation...e il mondo esterno?

Villaggio Matteotti...riunisce o divide?





Calvo Giuliana

Nuove proposte di distrubuzione a nuove esigenze

Tutti e tre gli esempi sono stati progettati in un tempo in cui l'architettura e l'idea della gente nel modo di vivere stava cambianto, ma il cambiamento più grande è avvenuto nella idea che questi architetti  avevano del modo di distribuire e di cambiare il modo di vita degli abitanti. Qualcuno ci è riuscito e qualcona no e la cosa più importante è che ad ogni caso si impara dal modo di pensare e al idea progettuale così come si impara dagli errori fatti nel passato.

Dervishaj Glen

micro mondi, macro edifici

Il villaggio Matteotti di De Carlo, L'Unitè d'Habitation di Le Corbusier e il Narkomfin di Ginzburg sono tre celebri esempi di organizzazione sociale. Sono complessi abitativi che auspicano la costituzione all'interno di essi una micro-società autonoma rispetto al mondo esterno. Attraverso percorsi diversi i tre progetti tentano di fornire una guida, per mezzo del loro oggetto architettonico, per  la ricostruzione della società.

Francesca Lisa

ESSE(re)

Ottavia Ponchia

La fotografia, la distribizione e la critica

 L'Unitè d'habitation

Il Narkomfin

 Il Nuovo Villaggio Matteotti
Cristina Cassavia

l'incontrollabile Uomo

l'uomo non può essere costretto in gabbia, se pur studiata scientificamente.


O forse può, ma sulle sbarre metterà delle tendine.

La socialità si veste di "beton-brut".



Le Corbusier --- regole tecniche per creare un edificio in competizione con la città.

Guinzburg --- cellule tecnicamente adeguate prive di collettività.


De Carlo --- Il progetto all'utenza.


Salvatore Garretto

Distribuzione per la comunità



Il Narkomfin , il nuovo villaggio Matteotti e l'Unitè d'Habitation sono esempi di architettura comunitaria non pienamente sfruttata .
Il Narkomfin perde subito dopo la sua costruzione il suo obiettivo.
Il villaggio matteotti mostra i segni di una progettazione collettiva.
L'Unitè d'Habitation diventa un microcosmo chiuso verso l'esterno.

Tameu Belverence

Architetture e Società

Così come le architetture possono essere conformate allo spirito di una società, allo stesso modo esse possono contribuire a modellare dinamiche sociali: in questo processo i sistemi distributivi giocano un ruolo fondamentale.

Cecilia Ferrando

La società inscatolata


Tre tentativi di organizzare la vita delle persone racchiudendo una città in un unico edificio o in un quartiere. 


- L'unitè vive, ma forse solo grazie al nome dell'architetto che l'ha progettata
- Il villaggio Matteotti sopravvive, ma in maniera diversa da come era stato previsto 
- Il Narkomfin non è stato in grado di adattarsi ai cambiamenti storici e lentamente muore


Simone Bernardini

Surrogati di Città








Nei tre edifici in esame ci sono buoni aspetti progettuali, ma con un'idea di fondo molto difficile da realizzare. Non si può sostituire la città e organizzare la vita umana attraverso percorsi rigidi.


Erik Vallauri
 

analisi critica



-Unitè d'Habitation: la distribuzione interna è realmente funzionale?
-Narkomfin: le scarse disponibilità economiche prevalgono sul benessere psicologico e sulle esigenze igienico-sanitarie
-Villaggio Matteotti: buona gerarchizzazione degli spazi

Sara Bodiglio

NARKOMFIN


"Lo smarrimento è grande, la confusione evidente, il malessere e il pericolo incontestabili: ce n'è abbastanza perchè intervenga una volontà di sintesi che, procedendo ad un esame della situazione, ne prenda in pugno i fattori e plasmi, per nostro conforto e come guida ai nostri prossimi atti, delle costruzioni viventi, degli organismi biologici in cemento"

Le Corbusier, Maniera di pensare l'urbanistica

Alice Giani

Architettura e società


Può l'architettura dettare e dirigere le abitudini dei suoi abitanti secondo schemi prefissati?
Le Corbusier,Ginzburg e De Carlo sono tre fra i molti i architetti che hanno provato a dimostrarlo,progettando tre "macchine abitative" con una distribuzione degli spazi del tutto innovativa.


Francesco Valfrè

Siamo contenti della nostra casa?

Le foto mostrano aspetti diversi di esempi di architetture innovative dal punto di vista distributivo e formale, figlie di tre periodi diversi del Novecento e tre contesti geografici altrettanto diversi, rivoluzione comunista in Unione Sovietica, ricostruzione del secondo dopoguerra in Francia, i ruggenti anni '70 in Italia. 
La dove finisce la critica dell'architettura da parte degli addetti ai lavori inizia la critica forse ancor più severa delle persone che giudicano gli spazi in cui vivono e lavorano, il cui giudizio determina il successo o l'insuccesso di un'architettura, in questi tre casi nata per rispondere a esigenze abitative impellenti!
                                                                                     
                                                          Junior Perri



L'Architettura Sociale


Tre architetture sperimentali, di tre diversi grandi architetti con situazioni sociali diverse.
La ricerca di un nuovo sistema distributivo per mettere in relazione un numero elevato di individui e le loro possibili interazioni con uno studio approfondito dello spazio pubblico e dello spazio privato.


Benedetto Alessandro